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Convegno Nazionale

Siracusa 22 marzo 2014

 

"Il recupero formativo degli Istituti d'Arte nel nuovo ordinamento scolastico"

Siracusa, Castello Maniace sala "Ferruzzo Romano"

22 marzo 2014 ore 9,00

 

Mostra "Creativi dal 1883" - Dal 22 al 25 marzo 2014 - Ore 9,00-13,00

Relatori:

Presidente ESSIA Vittorio Martini “Moderatore”

 

Assessore alla cultura e all’istruzione Alessio Lo Giudice “Saluti Istituzionali”

Presidente Confartigianato Massimo Sinatra “Saluti"

 

Segretario Confartigianato Salvatore Puglisi

Artigianato artistico: Futuro per l’occupazione in Sicilia.

 

Assessore regionale dei beni culturali e dell’identità Siciliana Maria Rita Sgarlata.

Meno storia dell’arte, più disaffezione al patrimonio culturale.

 

Dirigente scolastico Liceo Artistico A. Gagini di Siracusa : Simonetta Arnone

La Formazione artistica e il territorio: una sinergia da costruire.

 

Storico e critico del design, presidente ISIA (Istituto Superiore per le industrie Artistiche) di Faenza, presidente associazione “dccome design” Anty Pansera

Il ruolo storico degli ISA e l’importanza del laboratorio.

 

Dirigente scolastico Liceo Artistico Porta Romana di Firenze e Sesto Fiorentino. Annamaria Addabbo

Il riordino dell’istruzione artistica: monitoraggio,valutazione e prospettive.

 

Critico storico dell’arte prof. Paolo Giansiracusa. di Siracusa

L’inserimento dei giovani nel sistema dei beni culturali del territorio.

 

Considerando l’inizio dei lavori alle ore 9:30 si presume che gli interventi arriveranno alla conclusione all’incirca alle ore 11:30. Pausa coffee break . Alle ore 12:15 inizio interventi dei partecipanti.

Dopo i saluti Istituzionali portati dall’Assessore Lo Giudice, Massimo Sinatra Presidente di Confartigianato Imprese Siracusa, ha dato inizio ai lavori del convegno sottolineando l’importanza di esaltare le vocazioni imprenditoriali locali, soprattutto in una terra come la nostra che della produzione artigianale e d’arte (dal restauro monumentale, alla pittura, alla ceramica e sino all’oreficeria),  ha fatto il motore primo per riattivare le nostre realtà produttive ed economiche, contribuendo così alla “salvaguardia” del nostro famoso Made in Italy, rinomato in tutto il mondo.

 

La platea dei partecipanti, costituita per lo più dai dirigenti e dai docenti, ha avuto modo di ascoltare una scaletta di relazioni di grande spessore culturale e tecnico esposte da relatori provenienti da ogni parte d’Italia, tra cui hanno spiccato quella del nostro grande storico dell’arte locale, il Prof. Paolo Giansiracusa, che con la sua conoscenza del nostro territorio e dei suoi infiniti patrimoni artistici, ha saputo incantare l’assemblea dei partecipanti al convegno con abilità oratoria senza pari.
Un plauso, in particolare, va alla Prof.ssa Simonetta Arnone, Dirigente scolastico del Liceo Artistico “A. Gagini” che ha proposto un tema interessante “La Formazione artistica e il territorio: una sinergia da costruire”, che ha posto l’accento sulla capacità di non es
cludere la formazione artistica come risorsa per un territorio che mira al benessere della sua comunità e che vuole a tutti i costi mostrare come dall’artigianato artistico si possano trovare infinite risorse lavorative per i nostri giovani.
Ancora un’altra donna protagonista dell’evento la Prof.ssa Annamaria Addabbo, Dirigente scolastico del Liceo Artistico di Porta Romana e Sesto Fiorentino che  ha saputo trasferire all’uditorio la necessità di riordinare l’istruzione artistica per creare nuove prospettive lavorative e formative.


Dopo l’esposizione delle altre relazioni tecniche è seguito un dibattito in cui si è sottolineata la necessità di creare una maggiore relazione tra scuole professionali e aziende locali. Soltanto fortificando le proprie abilità pratiche nei loro laboratori (restauratori, orafi, grafici ma anche elettricisti, impiantisti, periti informatici), si potrà sperare in un ingresso nel mondo del lavoro più agevole, che possa favorire il loro inserimento nelle imprese artigiane del territorio.
Nonostante il tema affrontato in questo convegno sia di fondamentale importanza per il futuro formativo dei nostri giovani, molte sono state le polemiche da parte di alcuni docenti, riguardo l’assenza di giornali e televisioni locali. Chi vi scrive è dell’avviso che molte volte si da spazio ai “clamori” giornalistici. Giusto, l’informazione buona è importante ma non dimentichiamo che il lavoro di molti di noi,  operatori nel settore della comunicazione (dagli apprendisti, ai pubblicisti e sino ai professionisti), di questi tempi spesso è sottovalutato e dato per scontato. Penso che questo convegno sia soltanto un punto di partenza per risolvere un problema fondamentale: ridurre il divario tra aziende e scuole professionali a partire dal recupero delle ore laboratoriali di cui i nostri giovani sono stati privati. La vera notizia sarà portare a casa un risultato concreto per recuperare le ore formative nei laboratori.


Di convegni se ne sono fatti e se ne faranno ancora, speriamo però che in questo caso, al di là di tutto, si possa arrivare ad azioni concrete e questa responsabilità, certamente, deve essere raccolta non soltanto dai Professori degli (ex) Istituti professionali o da Associazioni come l’Essia, ma anche e con maggiore incisività nel territorio da parte di coloro che ogni giorno lavorano accanto alle nostre aziende. Il meglio, a mio avviso, deve ancora venire.


Un plauso, infine, da parte di tutta la Redazione di Siracusa Online va ai ragazzi del “Gagini” protagonisti “silenziosi” di questo convegno, che hanno parlato concretamente mostrando di che cosa sono capaci pur così giovani. Sono loro, infatti, che hanno realizzato meravigliose locandine, le carpette per i partecipanti al convegno ed hanno anche allestito una mostra con manufatti realizzati dagli ex allievi dell’Istituto d’Arte, oggi Liceo Artistico.


Per approfondire l’argomento si veda lo storico dei nostri articoli-video.

Il ruolo storico degli ISA e l’importanza dei laboratori
intervento fatto a Siracusa dalla relatrice Anty Pansera

Conoscere la storia è davvero indispensabile, sempre, per “progettare” il futuro e capire meglio - intelligere ( il termine latino ben ci aiuta ) - come muoversi: oggi soprattutto, in una complessità sempre più intricata e con l’esigenza, per il nostro Paese, di non perdere quelle “eccellenze” che continuano, per fortuna, ad interessare, dall’Oltralpe all’Oltreoceano.
Paese che sta “cambiando pelle”, la crisi strutturale da affrontare – e risolvere – con un “progetto” culturale vero, dentro al quale il ruolo della formazione è certo prioritario: con la capacità di comprendere, appunto e valutare, il contesto, indispensabile un’organizzazione anche delle scuole al suo servizio.


E se il design - e il momento della “formazione” di questo professionista – ha acceso l’interesse addirittura di multinazionali, così che non solo aziende del settore sono passate in mano straniere, ma anche alcune scuole private sono state acquisite per la loro particolarità/specificità, sempre più incredibili appaiono le scelte che si sono fatte, e si stanno facendo, all’interno delle istituzioni - Ministero - che coordinano/progettano (?) i cambiamenti/riforme (?) nel settore della cosiddetta “istruzione artistica”. Che ha una lunghissima ed interessante “storia” – forse sconosciuta ai più – di successi alle spalle.


Le scuole d’arti e mestieri - per formare l’artigiano/operaio - erano sorte nella nostra Penisola un po’ dovunque e per iniziativa proprio privata, già nella prima metà dell’Ottocento, spesso accanto a laboratori e officine, poste in seguito, dopo l’Unità, sotto le direttive del Ministero dell’agricoltura, industria e commercio. E se l’Accademia di Belle Arti di Brera era stata fondata nel 1776 da Maria Teresa d’Austria, proprio per “sottrarre l'insegnamento delle belle arti ad artigiani e artisti privati, per sottoporlo alla pubblica sorveglianza e al pubblico giudizio", sempre a Milano, dalla seconda metà dell’Ottocento opera la Società Umanitaria. Istituita nel 1893 da un possidente milanese, illuminato mecenate, Prospero Moisé Loira, pose al centro dell’attenzione, e dei dibattiti, proprio la figura dell’artigiano/artista, tanto cara, oltremanica, a Morris e a Ruskin.


La legge Casati (che prese il nome dal Ministro della Pubblica Istruzione, entrata in vigore nel 1860 e successivamente estesa, con l’ unificazione, a tutta l’Italia) avrebbe sì riformato l'intero ordinamento scolastico italiano, confermando la volontà dello Stato di farsi carico del diritto-dovere di intervenire in materia scolastica a fianco e in sostituzione della Chiesa cattolica, che da secoli deteneva il monopolio dell'istruzione, ma non si assunse l’obbligo di formare la forza lavoro: così l’Umanitaria pubblicherà, già nel 1914, una puntuale “Relazione-progetto, per l’istituzione di scuole-laboratorio di arte applicata all’industria”. E l’industria, in età giolittiana, è un referente di primo piano, per il quale l’“arte industriale” è individuata come indispensabile a produrre la vera ricchezza e qualità della forma, che si univa agli aspetti puramente utili degli oggetti…


Comunque, le “Scuole d’arte applicata all’industria”, diffondendosi, si erano anche dotate di un proprio “museo” d’arte industriale (a Venezia, Milano, Napoli, Firenze, Roma, Palermo i più rilevanti), considerato una struttura didattica complementare alle lezioni e ai laboratori: ai fini didattici sostanzialmente pratici si contrapponevano insegnamenti accademici, anche se mancavano docenti preparati, scoraggiati dalla bassissima retribuzione: una situazione che si è perpetua tristemente oggi.
Fin dopo la prima guerra mondiale, comunque, il panorama non cambia, anche se si registrano alcune spinte per una riforma delle “scuole artistiche”: una mano d’opera più qualificata e formata diventa infatti necessaria allo sviluppo delle “industrie artistiche”, accede e consente di creare nuovi posti di lavoro, rappresenta un freno all’emigrazione ( guarda un po’!) e contribuisce al riassetto della bilancia dei pagamenti. Chi acquistava infatti, tendeva a privilegiare i prodotti d’Oltralpe: ed è questa è una delle “molle” che spinge Guido Marangoni, deputato socialista dal 1904 al 1921, sovraintendente ai Musei Civici milanesi, a mettere a punto, già nel 1917, un suo straordinario progetto (che si concretizzerà a Monza, nella Villa Reale), un felice e fruttuoso binomio che coniugava un luogo di formazione (a precorrere la Riforma Gentile) e una grande esposizione, il primo strumento di crescita e di attualizzazione dei “linguaggi” delle arti decorative/applicate italiane (e si identifica, già a metà degli anni Venti, un linguaggio comune per la cultura del progetto italiana), la seconda vera e propria “palestra” di confronto.


E precorre proprio la riforma Gentile l’apertura di questa “Università delle arti decorative” (il termine “università” a significare in questo caso “insieme”, delle diverse scuole e dei diversi livelli), certo un unicum, tra le due guerre, aperta il 12 novembre 1922. La formazione si caratterizzava con un programma - il “disegno” il filo conduttore e il volano di base con i laboratori di supporto alle diverse discipline - , che vede sulle sue cattedre più prestigiosi nomi non solo di architetti e artisti ma soprattutto di artigiani/artisti del tempo. E ricordiamo solo Alessandro Mazzuccotelli, o del ferro battuto, Eugenio Quarti, o dell’ebanisteria, Alfredo Ravasco, o dell’alta oreficeria…, tra le più significative figure della contemporaneità. E Monza, piace sottolinearlo, dall’AA 1929/1930, tra le otto (poi dieci) specialità di laboratorio si sarebbe aperta quella della tessitura, riservata all’elemento femminile: vice direttore e organizzatrice la svedese Anna Akerdhal, moglie di Guido Balsamo Stella, a curare il laboratorio di ricamo Anita Puggelli, ma chiamata ad insegnare anche la finlandese Aina Cederblom.
Un’esperienza particolare, questa, grazie anche alla presenza, fino al 1930, delle Esposizioni Internazionali: denominate “mostra delle arti decorative” - 1923,1925, 1927 - poi “mostra dell’ arte decorativa e industriale moderna” nel 1930 (dal 1933 la manifestazione/istituzione divenuta Triennale sarà trasferita a Milano, nel Palazzo dell’Arte). L’ISIA di Monza avrebbe chiuso nel 1943 la propria esperienza ma, nella stessa sede, nel 1968 si riapre un Istituto d’Arte che diventerà poi sperimentale grazie ad un “dipartimento” per la comunicazione visiva, il design e l’ambiente…


Dagli anni Venti, intanto, i neonati Istituti d’Arte si erano andati collocando sul territorio nazionale, rispondendo alle esigenze di produzione e dei materiali, locali: a supportare e valorizzare dunque le specificità artistico–professionali di determinate realtà territoriali.
Dopo la seconda guerra mondiale, la Riforma Gonella del 1951, confermerà la realtà degli ISA, la cui offerta formativa continuava ad essere influenzata dalle potenzialità artistiche/artigianali locali. Il corso era triennale e rilasciava un diploma di “maestro d’arte”: innumerevoli gli “indirizzi”, dall’oreficeria alla ceramica, dal mosaico alla stampa d’arte, dalla decorazione alle “arti commerciali” (ovvero la grafica pubblicitaria, la fotografia, la scenotecnica, la moda e, ancora, l’animazione e la produzione filmica), ma anche “qualificazioni” ancor più specifiche, come l’Istituto Statale d’Arte per l’arredamento e la decorazione della nave e dei suoi interni a Trieste.


Con la riforma degli anni Sessanta, gli I.S.A. erano stati ufficializzati a livello ministeriale con uno statuto particolare in quanto l’istruzione artistica dipendeva dall’Ispettorato per l’Istruzione Artistica del Ministero della Pubblica Istruzione – un ispettorato indipendente, all’interno di un ministero che comprendeva anche i Beni Culturali – e, solo dopo l’emanazione dei Decreti Delegati del 1974 fu ricondotta nelle competenze dei locali Provveditorati agli Studi. Inizialmente era previsto un solo triennio che dava accesso agli esami di Maestro d’Arte ma, con la legge n. 692/1970, sarebbe stato introdotto il biennio sperimentale, comprensivo di IV e V anno che, rilasciando agli studenti il diploma di Maturità di arte applicata, permetteva finalmente l'accesso all'Università.


I laboratori continuavano ad essere parte così integrante e caratterizzante gli Istituti d’Arte, che la loro presenza indurrà l’ANDISA, l’Associazione dei Direttori degli Istituti Statati d’Arte, a muoversi per strutturare proprio su questa specificità gli ormai indispensabili Corsi superiori di Disegno Industriale che prenderanno vita a Venezia, Firenze, Roma e poi ad Urbino e a Faenza (trasformarti poi in ISIA, Istituti Superiori per l’Industria Artistica, a Roma, Firenze, Urbino e Faenza: discutibile ma indispensabile la loro definizione, anche se ambiguo l’acronimo, di fatto si ebbero così le prime facoltà pubbliche di disegno industriale).


Legno, metallo, ceramica…modellistica, fotografia… laboratori che testimoniano un modello didattico non solo “storico” (la mitica “università” monzese) ma vincente per la formazione “artistica” italiana, ma nello stesso tempo rispondente anche ai modelli didattici proposti da quella germanica scuola di Ulm (per certi versi “erede” del Bauhaus) cui si guardava con grande interesse.
Con la Riforma Gelmini, tutti gli istituti d'arte, a partire dall'anno scolastico 2010/2011, sono diventati, discutibilmente, licei artistici: e per quanto riguarda gli insegnamenti di laboratorio, non vengono indicate né le attività da svolgere, né definiti gli strumenti da utilizzare, lasciando spazio a una totale smaterializzazione o digitalizzazione del percorso. Le materie di indirizzo, quelle preziose specificità professionali che spesso proprio attraverso gli ISA ( e di converso, accade lo stesso ai curricula dei licei artistici) venivano trasmesse da personalità di assoluto rilievo, ad allievi che attraversano in questa fascia d’età i momenti decisivi per una formazione artistica, hanno visto ridotti gli spazi e, in più, sono state raggruppate in indefiniti contenitori onnicomprensivi: rischiando così di compromettere non solo qualche esperienza didattica ma, tutta intera, la capacità di trasmettere gran pare delle molteplici, complesse e proteiformi modalità di manifestazione della creatività italiana. A sfregio di quanti parlano di ripartire dalla bellezza come nostra specificità e dall’istruzione come strumento fondamentale.


Si tratta, in realtà, di un tema centrale per la stessa identità del Paese, un patrimonio da non disperdere, così come le competenze professionali indispensabili all’insegnamento di queste discipline: il rapporto con il fare, e con il “fatto ad arte” da apprendere, la rigorosa disciplina del laboratorio e dell’imparare attraverso la sperimentazione pratica, sia pure in un costante rinnovamento. Esperienze pratiche di laboratorio, allora, in stretta connessione con le realtà produttive: questa la strada da ritrovare.


Anty Pansera

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